Gli Arcani svelati vengono sviliti:
e quello che è profanato distrugge la grazia.
Quindi: non gettare le perle ai porci,
e non preparare un letto di rose ad un asino.
Dal frontespizio de Le Nozze Chimiche
di Christian Rosenkreutz
Il nome dei Rosacroce e della “misteriosa Confraternita” ha intessuto la storia e la cultura dell’Occidente.
Al di là delle facili leggende, che colpiscono l’immaginazione e la fantasia, cerchiamo di definire delle considerazioni, che possano far luce sia sull’origine di tale movimento, sia sui suoi contenuti, sia sulle finalità.
Sarà importante soffermarsi proprio sulle finalità, in quanto, in questo inizio di millennio, possono riscontrarsi situazioni sociali, che forse richiamano la necessità di un’opera, come quella delineata dalla Confraternita dei Rosacroce.
Le origini
Nell’agosto del 1623 apparvero a Parigi alcuni manifesti, che dicevano:
“Noi, deputati del Collegio principale dei Fratelli della Rosacroce, soggiorniamo visibili ed invisibili in questa città per grazia dell’Altissimo, verso il quale si volge il cuore dei Giusti. Noi indichiamo e insegniamo senza libri e senza maschere a parlare ogni sorta di lingue dei paesi dove vogliamo essere, per salvare gli umani nostri simili dall’errore della morte”. ( tratto da Gabriel Naudè, Instruction à la France sur la vèritè de l’histoire des Frères de la Rose-Croix, Parigi 1623).
“Noi, deputati del Collegio dei Rosacroce, rendiamo noto a tutti coloro i quali desiderino entrare nella nostra Società e Congregazione, che insegneremo loro la perfetta Conoscenza dell’Altissimo, da parte del quale faremo questa assemblea e li renderemo come noi da visibili a invisibili e da invisibili a visibili, e saranno trasportati in tutti i paesi stranieri dove il loro desiderio li porterà. Ma per raggiungere la conoscenza di queste meraviglie, noi avvertiamo il lettore che conosciamo i suoi pensieri e che se egli vuole conoscere per pura curiosità, non riuscirà mai a comunicare con noi, ma se la sua volontà lo porta realmente ad iscriversi nel registro della nostra Confraternita noi, che giudichiamo i pensieri, faremo loro vedere la verità delle nostre promesse, tanto è vero che non indichiamo il luogo della nostra dimora, dato che i pensieri uniti alla volontà reale del lettore saranno in grado di far conoscere noi a lui e lui a noi”. (tratto da Anonimo, Effroyables pactions faites entre le Diable et les prétendus Invisibles, Parigi 1623).
Ma l’origine del movimento, anche se i manifesti comparvero a Parigi, va collocata in Germania.
Fu infatti a Kassel che nel 1614 apparvero le prime due opere sull’Ordine dei Rosacroce.
La prima opera – Fama Fraternitatis – ha un titolo completo molto lungo, che ne indica i contenuti:
“Riforma universale e generale di tutto il vasto mondo, seguito dalla Fama Fraternitatis del lodevole Ordine della Rosacroce, indirizzato a tutti i sapienti e capi d’Europa”.
La seconda opera porta questo titolo “Confessio Fraternitatis ovvero Credo dell’esimia Confraternita dell’illustrissimo Rosenkreutz indirizzato ai dotti d’Europa”.
Nel 1616 compare a Strasburgo la terza opera: “Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz: Anno 1459″.
Chi scrisse queste opere che apparvero anonime?
Gli studiosi hanno proposto diversi nomi, ma in linea generale la maggior parte degli studiosi concorda che la paternità spetti a Johann Valentin Andreae e ad un gruppo di studiosi, facenti capo all’Università di Tubinga, il cosiddetto Cenacolo di Tubinga. Lo stesso J.V. Andreae ha riconosciuto di essere l’autore de “Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”.
E’ la Tradizione stessa che all’inizio del XVII secolo si incarna per decisione di un gruppo di sapienti di Tubinga, “di cui Johann Valentin Andreae era il più dotato in fatto di fantasia, di ‘alta fantasia’”. (G. de Turris da Introduzione all’Ed. Italiana de “I Rosacroce” di J.P. Bayard – Ed. Mediterranee – p. 12).
Ma chi fu Johann Valentin Andreae?
Egli nasce nel 1586 da una famiglia di ministri protestanti. Suo nonno Jakob Andreae era chiamato il Lutero del Wurttemberg; fu professore di teologia e poi rettore dell’Università di Tubinga.
Suo padre Johann Andreae, “disdegnando la disciplina luterana che diventava sempre più scolastica, si dedicò allo studio dell’arte alchemica e dell’occultismo; conquistò così l’amicizia del suo signore, Federico I – morirà nel 1608 – anch’esso appassionato di arti occulte. Johann Valentin dovrà a lui le sue precoci inclinazioni per l’astrologia, l’alta chimica e tutti gli aspetti dell’esoterismo”. (Paul Arnold – Storia dei Rosa-Croce – Ed. Bompiani – p. 52).
Scrive J. P. Bayard – I Rosacroce – Ed. Mediterranee – p. 39:
“E’ molto probabile che, grazie al suo nome e alla sua genealogia, Johann Valentin Andreae non sia stato che il portavoce, l’emblema di un gruppo che, effettivamente, doveva essere costituito da svariate personalità.
E’ probabile che, grazie all’ambiente in cui era nato, questo adolescente superdotato sia stato a conoscenza di una tradizione”.
Gianfranco De Turris nella Introduzione ai “Manifesti Rosacroce” – Ed. Mediterranee così scrive:
“Johann Valentin Andreae da solo e con la collaborazione dei suoi colleghi del circolo di Tubinga, creò uno ‘scherzo mistico’, senza ‘intenti beffardi’ ma con uno ‘scopo serio’, forse dapprincipio come un ‘gioco’ interno, poi esternato proprio in un momento di grande tensione politica, culturale, spirituale, di tutta la Germania, che attecchì in modo inaspettato e insperato e creò, fondò, trasmise nei secoli un ‘mito’, quello della misteriosa Confraternita che, riallacciandosi ad una tradizione esoterica (Alchimia) e religiosa (il Vangelo Universale), prospetta una via di realizzazione interiore”.
Scrive Paul Arnold – Storia dei Rosa-Croce – E. Bompiani – p. 98:
“Johann Valentin Andreae sembra essere dunque il vero inventore della mitologia e della letteratura rosacrociana nei contenuti e nel tono ironico da essa adottato. Infatti, non solo nessuno ha mai maneggiato meglio di lui la malizia ma, giustificando questo tono leggero nel Turbo e nella Turris Babel , fa involontariamente la genesi dei manifesti: ‘Era il problema del cristianesimo [nota di FDA: cristianesimo riferito al Cristo vero, come Pietra Filosofale] che mi stava a cuore e che io tentavo di risolvere con tutti i mezzi; e siccome non potevo farlo per la via maestra, tentai di farlo mediante sotterfugi e pagliacciate, per niente mosso, come è parso a certuni, da intenti beffardi, ma ricorrendo a mezzi molto usati da persone pie, nel senso che con delle facezie e un’accattivante malizia perseguivo uno scopo serio e inculcavo [nel lettore] l’amore per il cristianesimo.’ Non si potrebbe definire meglio tutto il ‘ludibrium [gioco] della vana Fama’, come dirà nel 1629″.
J.P. Bayard – I Rosacroce – Ed. Mediterranee – p. 33 e seg. così si esprime:
“Grazie a questi tre enigmatici testi, un vasto programma viene rivelato a ogni individuo. Esso pare completo, e se si esprime a volte con un estro satirico – derivante indubbiamente dallo spirito medievale – non manca di mostrare una ricerca pedagogica inserita in una preoccupazione universalistica. Ma accanto a questo comportamento intellettuale, visto da un’ottica iniziatica, esiste anche un aspetto concreto che chiede l’aiuto dei principi illuminati, che fa pensare alla ricerca dei Templari che ha avuto anch’essa obiettivi simili. Precisiamo sin da ora che questo ‘discorso sulla Riforma generale del mondo intero’ s’indirizza a tutti coloro i quali pensano alla loro salvezza. E’ inutile voler speculare sui beni della terra ed è ugualmente vano sottomettersi alla scienza i cui progressi sono deludenti. Soltanto la ricerca spirituale può condurci sulla via giusta. E’ consigliabile agli uomini di agire in fretta, di rigenerarsi appena possibile, in quanto questo cambiamento di stato deve avvenire in un futuro molto prossimo. Alcuni segni permettono di affermare che una riforma si deve compiere tanto nel campo religioso quanto nel mondo della scienza e della politica. Sta ad ognuno cogliere quest’occasione unica se si vuole salvare la propria anima. Ma è evidentissimo che questo messaggio non può essere compreso che da coloro i quali sono pronti a riceverlo, perché quelli che rimangono all’esterno non possono né vedere, né riconoscere i membri della Rosacroce”.
Ma dopo un certo tempo Johann Valentin Andreae sembra essere critico nei confronti della Confraternita della Rosacroce. In realtà il ‘ludibrium’, il gioco, che doveva stimolare le coscienze dei regnanti e del popolo, comincia a sfuggire di mano.
Così scrive Johann Valentin Andreae: ” … cominciarono a prodursi una gran quantità di scritti a favore e contrari, e ho assistito con grande divertimento a come continuamente nuovi combattenti entrassero in lizza. Ma siccome la scena si riempiva di ogni sorta di dispute sulle diverse opinioni, e la maggior parte delle volte le armi più efficaci erano il sospetto, le supposizioni, le ingiurie e la diffamazione, io mi sono ritirato per non espormi imprudentemente al pericolo”. (Da Paul Arnold – Storia dei Rosa-croce – Ed. Bompiani – p.98).
Da Paul Arnold – Storia dei Rosa-croce – Ed. Bompiani – p.200: “Ostinazione, cecità, stupidità e impostura: ecco ciò che ha suscitato il fraintendimento della Fama. Quello che era stato un messaggio di salvezza era diventato, in un attimo, il pretesto di buffonate, una ‘commedia indegna’, appannaggio di impostori e dilettanti. … Fin dal 1617 il movimento era screditato; la Rosa-Croce suscitava il riso. Così le persone serie si affrettarono a dissociarsi da una compagnia poco raccomandabile”.
Sempre Paul Arnold – Storia dei Rosa-croce – Ed. Bompiani – p.201, prosegue: “Nel 1616 la situazione era già a un punto tale che, se non si voleva far cadere in un uguale discredito il mito di una Confraternita Rosa-Croce e la dottrina esoterica della salvezza che quel mito formulava, se non si voleva subito scoraggiare gli uomini di buona volontà, era necessario limitare i danni, e smetterla con una favola fraintesa e abusata. In quel momento, invece di parlare agli animi, invece di guidare il mondo verso la saggezza, di preparare gli uomini ai ‘mutamenti’ annunziati, la parabola rosa-croce serviva solo a divertire gli sfaccendati e a mantenere gli impostori. Bisognava distruggere la fallace immagine di una confraternita di cui la gente, ingannata dalle invenzioni di pubblicisti disonesti, non afferrava il simbolismo pur così chiaro della Confessio. Se si voleva operare in maniera durevole ed efficace, era necessario lanciare di nuovo il movimento, al di fuori di un mito ambiguo che solo l’ostinazione, la stupidità o un interesse di parte potevano ormai continuare a difendere. Bisognava finirla una volta per tutte con il ‘ludibrium della vana Fama’.
‘Troppo a lungo ci si è presi gioco della gente, ‘ dice J.V.Andreae nella Turris Babel, ‘ con la messa in scena della Fama. Libereremo quelli che sono rimasti impigliati nelle trappole, incoraggeremo coloro che indugiano, rialzeremo quelli che sono caduti, raddrizzeremo ciò che è storto, guariremo i malati. Ebbene, mortali, non dovete più aspettare nessuna confraternita: ormai la commedia è finita: la Fama l’aveva montata e l’ha anche distrutta. La Fama aveva detto: sì, ora dice: no. Per quanto siate curiosi o pigri, o spettatori, applaudite tutti testimoniando così la vostra letizia.’ Ciò significa chiaramente:
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Che non esiste alcuna confraternita terrena;
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Che la Fama è revocata; che l’era degli impostori che si celano dietro di essa è finita;
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Che l’opera di salvezza deve proseguire in un modo diverso, poiché il primo tentativo è degenerato in una buffonata”.
E sempre Johann Valentin Andreae scrive in “Turris Babel, sive judiciorum de fraternitate Rosae Crucis Chaos – Zetzner, Strasburgo, 1619): “Anche se al presente abbandono la Confraternita stessa, tuttavia non abbandonerò mai la vera fratellanza cristiana che, sotto la croce, ha il profumo della rosa e che è ben lontana dalla sozzura del secolo, dalla sua confusione, dai suoi errori e dai suoi orgogli: al contrario vorrei effettivamente esaltarla assieme a tutti i suoi devoti e parlarne in maniera più equilibrata”.
Il movimento spiritualista, quello vero, che doveva inserire nella società i germi evolutivi del pensiero della Tradizione, e che dal 1614 al 1616 si era incarnato nel mito della Confraternita Rosa-Croce, proseguirà sotto una forma del tutto diversa, cercando di incarnarsi nell’iniziativa delle Unioni Cristiane (ricordiamo che la figura del Cristo va assimilata a quella di Horus) fondate sempre da Johann Valentin Andreae.
Tratto da Paul Arnold – Storia dei Rosa-croce – Ed. Bompiani – p.60, riportiamo questo sintetico ritratto di Johann Valentin Andreae: “Questo è l’uomo. Instancabile idealista, che dalla gioventù alla vecchiaia persegue lo stesso sogno: costituire un’associazione esemplare che viva a immagine del Cristo [nota di FDA: il Cristo Horus] e prepari, attraverso la rigenerazione dell’individuo, la nuova Gerusalemme, il quarto impero. Insomma, tutto ciò che alla lettura dei manifesti appare come lo scopo principale e reale della Confraternita Rosa-Croce, lo ritroviamo in ciascuno dei tentativi abortiti che scandiscono la vita di Johann Valentin Andreae dopo lo scacco della Rosa-Croce nel 1620.
Insieme a lui possiamo dire che la sua vita aveva provato ‘molti smarrimenti, cambiamenti, tempeste, molti ostacoli, ingiustizie, calunnie e persecuzioni, e un pesante fardello di lotte, offese, malattie e infelici circostanze.’
… Molto stimato dai suoi contemporanei imparziali e degni di fede, ammirato dai personaggi più eminenti dell’epoca, sostenuto da un principe illuminato, indole mite che lo rendeva preda fin troppo facile della calunnia, Andreae non ha affatto meritato il giudizio severo che formulano certi storiografi troppo di parte per potergli perdonare la sua attività post-rosacrociana.
Il fatto era che egli rifletteva nella sua persona l’austerità che reclamava per il mondo, in quella stagione che credeva annunciare la fine dei tempi”.
Al termine di tutti i suoi sforzi, minato nel fisico, pensa di passare la mano. Si sente troppo debole per riprendere la lotta e ‘ripulire le stalle di Augia’. In una lettera al suo grande amico Comenio, Johann Valentin Andreae scrive:
“Abbandonando i resti del nostro naufragio, ve li trasmettiamo, contenti se la nostra impresa non sarà del tutto sterile”.
Quindi, in quell’inizio del XVII secolo, in un momento di forti tensioni sociali, un gruppo di studiosi, in qualche modo depositari dell’antica Tradizione ermetica ed alchemica, tentarono, con un metodo che sollecitasse la curiosità dell’opinione pubblica e dei governanti, di avviare una riforma del sapere e della società. L’operazione sfuggì di mano e se ne impossessarono forze di varia derivazione e natura, tanto che coloro che l’avevano avviata se ne allontanarono quasi subito, in primo luogo J.V. Andreae. L’idea di una Confraternita misteriosa detentrice dei segreti della Tradizione e di miracolosi poteri attecchì però a tal punto, che se ne parla ancora oggi, dopo quattro secoli.
I contenuti
Cerchiamo, inizialmente, di esaminare ora i contenuti delle opere, pubblicate in quell’inizio del XVII secolo. Di seguito cercheremo di capire meglio la profondità del messaggio portato dall’iniziativa della Confraternita dei Rosa-Croce.
La prima opera – Fama Fraternitatis – ha un titolo completo molto lungo, che ne indica i contenuti:
“Riforma universale e generale di tutto il vasto mondo, seguito dalla fama Fraternitatis del lodevole Ordine della Rosacroce, indirizzato a tutti i sapienti e capi d’Europa”.
Da questa lettera aperta ai saggi ed ai ‘cuori fedeli’ è interessante riportare l’inizio, in quanto lo si può ritenere ancora attuale (Tratto da Manifesti Rosacroce – Edizioni Mediterranee – Roma – p. 27): ” … In questi ultimi tempi, Dio, l’unico saggio e misericordioso, ha riversato sull’umanità la sua misericordia e la sua bontà tanto copiosamente da permetterci di acquisire una sempre maggiore conoscenza di Suo Figlio e della Natura. Possiamo vantarci a buon diritto di vivere in un’epoca felice, perché non solo ci è stata rivelata una parte segreta del mondo, a noi finora sconosciuta, rendendo possibili delle opere mai compiute prima e meravigliose creazioni della Natura, ma anche perché ha fatto sorgere spiriti illuminati. Essi hanno ricomposto ciò che nell’arte era contaminato ed imperfetto, affinché l’uomo potesse finalmente comprendere la sua nobiltà e la sua grandezza, per quale ragione egli fosse un microcosmus e fino a che punto la sua conoscenza potesse estendersi nella natura.
Agli occhi di questo mondo irriflessivo ciò sembra cosa di poco conto. Bestemmie, risa e scherno aumentano, e la superbie e l’ambizione dei dotti sono talmente grandi, che non è più possibile per essi trovare un accordo. E nonostante tutto ciò che Dio, nel nostro secolo, ci ha ampiamente reso noto attraverso il Liber Naturae, essi si contestano l’un l’altro senza arrivare ad una visione comune. Al contrario, ‘si canta sempre la stessa canzone’ ed invece di far valere la chiara e palese luce della Natura, ci si sente in dovere di abbarbicarsi alle dottrine del papa, di Aristotele, di Galeno, che pure, se fossero ancora in vita, sarebbero ben lieti di rimettere in discussione se stessi. L’antica teologia, l’antica fisica e l’antica matematica, sono in contrasto con la verità. Il ‘Vecchio Nemico’ si manifesta con l’astuzia e con l’odio, ostacolando e rendendo impopolare la nuova evoluzione, attraverso fanatici e ciarlatani stimolando la discordia”.
A questo punto, nella Fama, si inizia a raccontare la storia del mitico fondatore della Confraternita, Christian Rosenkreutz, che lavorò a lungo ed intensamente per una riforma generale della società.
Quello che va sottolineato è che in questo mito, Christian Rosenkreutz compie delle peregrinazioni in tutte le parti del mondo, raccogliendo insegnamenti, o meglio aspetti diversi della Tradizione, al fine poi di realizzare un nuovo sincretismo, o meglio una nuova espressione della Tradizione stessa.
E’ importante questo aspetto: con il mito dei Rosa-Croce si vuole esprimere in modo nuovo per un nuovo tempo e per un nuovo livello evolutivo umano la Tradizione, o meglio il sempre uguale ed eterno nucleo unico della Tradizione e trasmettere o meglio inserire la Tradizione, così incarnata per i nuovi tempi, nella società e tra gli uomini, che si dibattevano in un momento di gravi crisi e trasformazioni.
Anche Rudolf Steiner ne “Il Cristianesimo Rosicruciano” – Ed. Antroposofica, nel suo racconto della genesi del movimento Rosa-Croce racconta il suo mito, che sottolinea sempre questo aspetto di necessità di una nuova espressione della Tradizione.
Egli narra che nel tredicesimo secolo in una località europea si formò una loggia di grande spiritualità, formata da 12 uomini, che raccoglievano la somma totale della saggezza spirituale delle epoche passate e del loro tempo. Sette di loro erano in grado di guardare indietro nelle sette correnti dell’antica epoca evolutiva atlantica dell’umanità e a quanto sopravviveva di tali correnti; altri quattro non potevano guardare come quelli a epoche primordiali da lungo tempo trascorse, ma potevano nei quattro periodi di civiltà postatlantici (paleoindiano, paleopersiano, egizio-caldaico- assiro-babilonese, greco-latino). A questi undici si unì un dodicesimo, che era il più intellettuale e doveva coltivare soprattutto le scienze esteriori. Quindi, dodici individualità eminenti riunite per cercare il punto di partenza di una nuova civiltà alla metà del secolo tredicesimo, quando era stato raggiunto il punto più basso della vita spirituale e l’accesso ai mondi spirituali si era chiuso anche ai più progrediti. Ma era possibile l’inizio di una nuova civiltà solo a seguito dell’entrata, al centro dei dodici, di un tredicesimo. Costui fu isolato completamente dal resto del mondo e, mentre si trovava in uno stato tra la vita e la morte, i dodici si riunirono attorno a lui per determinati intervalli di tempo durante i quali gli infusero tutto il loro sapere e la loro saggezza. Questo ebbe fine quando il tredicesimo si destò come fosse un’anima nuova. In lui esisteva ora come una grande rinascita delle dodici sapienze, tanto che anche i dodici saggi potevano imparare qualcosa di assolutamente nuovo dal giovane. Costui poi morì e rinacque come Christian Rosenkreutz, che viaggiò per tutto il mondo conosciuto, come narrato nella Fama.
Che il mitico Christian Rosenkreutz abbia appreso le conoscenze e le abbia poi integrate in se stesso per mezzo di viaggi, come descritto nella Fama, o gli siano state infuse dai portatori delle antiche espressioni della Tradizione mediante sedute rituali tra la vita e la morte, come descritto da R. Steiner, ciò che importa, al di là delle espressioni mitiche, è che, in quel cambio d’epoca, era necessario alla Tradizione incarnarsi in un aspetto diverso dalle precedenti incarnazioni, nulla mutando dell’unico nucleo, che tenesse conto della diversa struttura evolutiva, che aveva assunto l’Uomo occidentale.
Scrive a tal proposito Massimo Scaligero, in “Iniziazione e Tradizione” – Ed. Tilopa – p. 10: “Solo la riconquista della capacità di visione – che non potrebbe tuttavia essere una ripetizione di ciò che fu un tempo, bensì un possesso cosciente e libero di essa – può ristabilire il contatto con l’essenza del mistero e del mito: altrimenti ci si muove inevitabilmente, con l’essere che si è, nella tradizione morta, a cui si chiede una conferma metafisica per rimanere ciò che si è, in quanto si ama subconsciamente rimanere ciò che si è, ossia ombre vaganti sulla terra”.
La seconda opera porta questo titolo “Confessio Fraternitatis ovvero Credo dell’esimia Confraternita dell’illustrissimo Rosenkreutz indirizzato ai dotti d’Europa”.
Esaminiamo la sintesi di quest’opera, come riportata in “Storia dei Rosa-Croce” – Paul Arnold – Ed. Bompiani – p. 45: “Dopo aver protestato la sua innocenza, la Confraternita proclama che in questi ultimi giorni del mondo è necessario rivelare gli arcani a tutti i giusti e parteciparli a tutti gli uomini, invece di riservarli ai soli dotti. Tutti dovevano essere chiamati alla salvezza, poiché gli umili potevano essere toccati dalla mano di Dio quanto i principi. E appariva chiaro che in quest’ultima stagione del mondo Dio aveva deciso di aumentare il numero dei ‘fratelli’. Ecco dunque il metodo che la Confraternita consiglia ai saggi per entrare in possesso dei suoi irripetibili tesori. Meditazione, informazione e ricerche avevano rivelato a Christian Rosenkreutz la maestà dell’universo, conoscibile tramite la rivelazione divina e con l’intercessione degli angeli e degli spiriti, coadiuvati dalla perspicacia e dall’intelligenza. Acquisita questa grande verità dal Padre eponimo, la cosa più opportuna era che i saggi la mantenessero, che vivessero nella contemplazione di questa saggezza che gli uomini ricercavano da millenni per fallaci sentieri e strade difficili”.
La Confraternita prometteva grandi prodigi a chi fosse disposto a mantenere costante il proprio zelo nella ricerca; tali beni insperati infatti non potevano essere né ereditati né offerti a chiunque indifferentemente.
Riportiamo sempre da “Storia dei Rosa-Croce” – Paul Arnold – Ed. Bompiani – p. 46: “Per procurarseli bisogna essere attenti ai segni segreti che Dio ha impresso in tutto il creato e che la Confraternita è attualmente la sola a saper leggere. Su questo cammino della perfezione, colui che è autorizzato (da Dio) a contemplare le grandi lettere e i caratteri che il Signore ha inscritto nell’Edificio è già molto vicino alla Confraternita, sebbene l’ignori ancora. L’Edificio, nel linguaggio dell’epoca, designa semplicemente l’Universo, e i caratteri e le grandi lettere indicano le corrispondenze tra il microcosmo e il macrocosmo. Tutti sappiamo che Dio è fermamente risoluto a comunicare al mondo, prima della sua fine, la verità, la luce, la vita e lo splendore di cui aveva beneficiato Adamo prima della caduta. Ogni tenebra sarà cancellata insieme a ogni errore e divergenza d’opinione. Sarà proclamata una regola giusta e certa. Il tempo è vicino, Dio ha già mandato dei segni: nuove stelle sono state segnalate nelle costellazioni del Serpente e del cigno. L’uomo che comprende la Bibbia, e che vivrà la vera vita cristiana [ricordarsi sempre che per i Rosacroce il Cristo rappresenta Horus – nota di FDA] predicata dalla Confraternita, andrà nella gioia al cospetto del sole levante. Sarà partecipe di tutti i beni della terra e dissiperà le tenebre. Tuttavia, sebbene esista un elisir universale che guarisce tutte le malattie (in altri termini: che assicura la salvezza di tutti gli uomini), la Confraternita non potrà essere rivelata a nessuno senza uno speciale decreto di Dio. Nessuno potrà, senza e contro la volontà di Dio, gioire e partecipare al trionfo; perderebbe la sua vita a cercare ed esplorare senza trovare la Confraternita e raggiungere la sperata felicità”.
Nel 1616 compare a Strasburgo la terza opera: “Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz: Anno 1459″.
Riassumere “Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz” è molto complesso, in quanto l’opera si presenta densa di simboli, non sempre facili da spiegare, intersecati e sovrapposti tra di loro.
E’ la descrizione in forma di racconto della Grande Opera, “quella vera, – scrive Gianfranco De Turris nell’Introduzione a ‘I Manifesti dei Rosacroce’, Ed. Mediterranee, p. 12 – quella che consiste nel portare a termine le Nozze Chimiche, facendo penetrare l’anima nei corpi rigenerati del Re e della Regina”.
Continua Gianfranco De Turris: “Si tratta di una esposizione, per chi la sa capire attraverso ‘il velame de li versi strani’, di tutto quanto è trasmissibile per iscritto circa operazioni iniziatiche, un iter spirituale per raggiungere uno status più alto. Nelle Nozze Chimiche c’è veramente tutto a ben vedere, dopo averle scrostate e lette nel loro significato essenziale.
Si può comunque dire che gli stessi elementi che in precedenza erano stati visti nella semplice ottica ‘avventurosa’, qui prendono tutt’altro significato di fronte ai nostri occhi: la ‘chiamata’ da parte di una Vergine in veste d’Angelo; la scelta affidata al Caso, al Fato, di una delle quattro vie canoniche dell’Alchimia […] seguendo una colomba e un corvo; il superamento di varie prove costituite prima dal Guardiano della Soglia e poi dalla Bilancia degli Artisti; la tonsura, il digiuno; la visita al Castello, alle sue meraviglie, ai suoi sotterranei; la visione non volontaria di ‘Venere senza veli’; l’episodio del leone che spezza la spada, e dell’unicorno; la decapitazione dei sovrani ad opera di un negro a sua volta decollato (e qui basti ricordare che ‘etiope’ era uno dei nomi attribuiti alla ‘materia prima’ dopo alcune fasi di passaggio dell’Opera al Nero); l’uso che si fa della sua testa; l’inganno nei confronti di coloro i quali non sono del tutto pronti, facendo loro credere che i cadaveri dei monarchi vengono sepolti; la partenza verso la Torre dell’Olimpo sita su di un’isola quadrata a bordo di navi con i segni dei pianeti sulle vele.
Eccola: è una torre a sette piani […] : al primo piano si preparano tinture ed essenze; al secondo si sciolgono i corpi dei defunti grazie alla testa del moro ricavandone un liquore, chiuso poi in una sfera d’oro; al terzo piano la sfera viene esposta alla luce concentrata del sole grazie ad un gioco di specchi, in modo che nella sfera si formi un uovo; al quarto piano l’uovo viene sepolto nella sabbia calda e da esso nasce un ‘uccello selvaggio’ con le piume nere, la Fenice, che viene nutrita con il sangue dei sovrani, le penne cadono sostituite dalle bianche e poi da quelle multicolori; al quinto piano la fenice viene immersa in un bagno che le fa perdere le piume dalle quali si ricava una tintura blu con cui la si dipinge; al sesto piano, al momento di una particolare congiunzione, si decapita l’uccello, il corpo viene incenerito e le ceneri conservate; al settimo piano vanno soltanto i ‘soffiatori’ che si affannano intorno ai fornelli ’sino a perdere fiato’; nell’abbaino, che ha una cupola a forma di sette semisfere concave e che nessuno sa essere al di sopra del settimo piano, vanno invece i veri adepti, i ‘filosofi’; […] qui viene ridata vita al Re e alla Regina umidificando e riscaldando le ceneri della Fenice e poi versandole in due stampi da cui escono due figurine di pochi centimetri che assumono forma umana dopo essere state nutrite con il sangue sgorgato dal petto della Fenice; l’anima giungerà infine attraverso il tetto lungo un raggio di luce, anzi una triplice anima, secondo gli insegnamenti tradizionale. Il ritorno avviene su navi che questa volta […] hanno sulle vele i simboli dello Zodiaco, e insieme a un gruppo di cavalieri che reca la bandiera bianca e la croce rossa dell’Ordine del Tempio. […]
Ma Christian Rosenkretuz non è ancora definitivamente degno della ricompensa reale: egli ha visto ‘Venere senza veli’ mentre era addormentata. Viene quindi punito: deve sostituire nel suo compito il Primo Guardiano che tempo prima si era macchiato dello stesso peccato.Le ultime righe del libro, però, denunciando la perdita di due fogli, li sunteggiano rendendo noto al lettore che alla fine il protagonista se ne torna invece a casa sua.[…]
Questo errore non deve essere inteso però su di un piano meramente umano, e cioè riferentesi ad alcuni incresciosi episodi dell’epoca universitaria [di Andreae], ma soprattutto su di un piano simbolico ed esoterico: aver osservato ‘Venere senza veli’ vorrà dire allora ‘non aver percepito’ – come scrive Alberto Cesare Ambesi ne ‘I Rosacroce’,, Ed. Armenia – nell’Eros umano il riflesso di quello celeste […], un mancato processo di identificazione della Venere umana con la Venus Urania. Il che significa che il fittizio Rosenkreutz di Andreae, nelle fasi ultime di consacrazione, essendo venuto a contatto con una forza fecondatrice che ancora doveva attendere un lasso di tempo per sciogliersi e generare, seppe cogliere solo l’aspetto fascinatore di essa, subendone in pieno il potere paralizzante”.
In sintesi nel primo manifesto si evidenzia la necessità di una nuova modalità di incarnazione della Tradizione Unica, per il nuovo tempo, di crisi e di cambiamento. Nel secondo manifesto si evidenzia invece la necessità che questa nuova forma di espressione della Tradizione Unica venga inserita nella società, diffondendone i principi, attraverso canali di diffusione che coinvolgessero non solo i governanti, ma anche tutti coloro che erano pronti a ricevere il messaggio. Nella terza opera – Le Nozze Chimiche -, attraverso un racconto apparentemente fantasioso, viene indicato il procedimento per poter operare su di sé, avviando ed accelerando in se stessi il processo evolutivo e trasformativo, come indicato nella tradizione alchimica.
A conclusione dell’esame dei tre testi, riportiamo quanto scrive J. P. Bayard – I Rosacroce – Ed. Mediterranee – p. 48: “Questi tre testi formano un insieme coerente ed omogeneo, che è l’espressione di un gruppo. Pensiamo, da parte nostra, che non si possa sottovalutare l’atmosfera che circondava la famiglia Andreae, che era molto rinomata e rispettata”.
Le derivazioni
Nonostante risulti abbastanza chiaro dalla storia e dai documenti, che la Confraternita dei Rosacroce non fu altro che un tentativo di portare la Tradizione, sotto la nuova veste dei tempi, all’interno della società dell’epoca e che tale tentativo non ebbe un seguito reale, l’idea conquistò l’immaginario collettivo e fece comunque strada, dando l’avvio a innumerevoli associazioni più o meno serie, che si sono fregiate e si fregiano tuttora del prestigioso nome dei Rosacroce.
Indichiamo, a conferma del proliferare dell’idea, un elenco delle più famose Confraternite, tratto da “I Rosacroce” di J.P. Bayard – Ed Mediterranee, p. 293:
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Sir Francesco Bacone, capo dei R+C inglesi, influenza la Massoneria tramite l’istituzione di un gruppo speculativo (1620).
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Riunione dei Centri R+C nei Paesi Bassi, ad Amsterdam, a Warmond e all’Aja dove si riunirono assieme al principe Federico Enrico nel suo Palazzo (1622).
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Costituzione dei nuovi R+C a Parigi (1623).
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Fondazione a Londra dell’Invisible College dei R+C da parte dei Naturalisti, sotto la direzione di Boyle (1645).
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Formulazione delle Regole della Rosa Croce d’Oro (1660).
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Fondazione ad Arras del ‘Capitolo Primordiale della R+C Giacobita’ che servì da modello ai gradi dei R+C Framassoni Scozzesi (1747).
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Introduzione del grado di R+C nella Massoneria Olandese (1750).
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Costituzione della Rosa Croce d’Oro in Germania (1750).
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Introduzione del grado di R+C Teorica nella Massoneria Russa (1787).
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Fondazione a Parigi del rito Scozzese Antico e Accettato in 33 gradi nel quale la dignità R+C viene stabilita al 18° (1804).
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Fondazione della Societas Rosicruciana in Anglia (1865).
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Fondazione della Societas Rosicruciana in U.S.A. (1879).
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Fondazione a Keighley dell’Hermetic Order of the Golden Dawn (1887).
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Fondazione da parte di Stanislas De Guaita dell’Ordine Cabalistico della R+C (1887).
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Fondazione a Parigi da parte del Sar Péladan dell’Ordine del Graal e della R+C (1888).
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Fondazione delle Scuole Tedesche della R+C da parte di Rudolf Steiner (1900).
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Fondazione da parte di Max Heindel della Rosicrucian Fellowship a Seattle (Washington).
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Fondazione di un’Associazione Rosacrociana a Londra: Equinox Group, che stampa un periodico dello stesso nome (1909).
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Fondazione a Londra da parte di M.me Besant, M.me Russak e H. Wegwood di un’Associazione dell’Ordine del Tempio della R+C (1912).
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Fondazione a New York da parte di Spencer Lewis dell’American Rosae Crucis Society, o AMORC (1915)”.
Queste citate sono solo alcune tra le più famose Associazione Rosacrociane; molte altre ne sono sorte e ne continuano a sorgere, inventandosi nomi altisonanti e dimenticandosi che i veri Rosacroce si definivano “invisibili”.
I “veri Rosacroce” non si sono mai fregiati di tale nome.
E’ pienamente condivisibile quanto Fulcanelli, anche se con qualche imprecisione storica, scrive in “Le Dimore Filosofali” – I Vol. – Ed Mediterranee – p. 207: “Probabilmente non sapremo mai quale oscura ragione guidò Valentin Andreae, o piuttosto l’autore tedesco che si nasconde sotto questo pseudonimo, facendogli stampare, a Francoforte sull’Oder, circa nel 1614, l’opuscolo intitolato Fama Fraternitatis Rosae-Crucis.
Forse egli perseguiva uno scopo politico, sia che cercasse di controbilanciare con una fittizia potenza occulta l’autorità delle logge massoniche del tempo, sia che volesse provocare il raggruppamento dei Rosa-Croce, disseminati un po’ dovunque, in un’unica confraternita depositaria dei loro segreti.
Comunque sia, se il Manifesto della Confraternita non riuscì a realizzare nessuno di questi scopi, contribuì, però, a diffondere nel pubblico la notizia d’una setta sconosciuta, dotata dei più stravaganti attributi. […] Insomma la confraternita mistica, malgrado la benevola affiliazione di alcune personalità scientifiche delle quali il Manifesto sorprese la buona fede, non è mai realmente esistita se non nel desiderio del suo autore. E’ una favola e niente di più. […]
Del resto non sosterremo che Valentin Andreae abbia ingrandito di molto le virtù straordinarie, che alcuni filosofi, più entusiasti che sinceri, accordano alla Medicina Universale. Se costui attribuisce ai confratelli ciò che potrebbe far parte soltanto del Magistero, troviamo in questo almeno la prova che il suo convincimento era basato sulla realtà della pietra. […]
I veri Rosa-Croce, i soli che possono portare questo titolo e fornire la prova materiale della loro scienza, non sanno che farsene d’un titolo. Vivendo isolati, in un austero ritiro, non temono d’essere riconosciuti, neanche dai loro confratelli. […] Valentin Andreae riconosce l’impossibilità di identificarli, simili, come sono, a dei gran signori che viaggiano in incognito sotto gli abiti, e in carrozza, borghesi. Sono invisibili perché sono in incognito. Niente li caratterizza, tranne la modestia, la semplicità e la tolleranza, virtù generalmente disprezzate nella nostra vanitosa civiltà, portata all’esagerazione ridicola della personalità. […] La pretesa Confraternita dei Rosa-Croce non ha mai avuto un’esistenza sociale. Gli Adepti portatori del titolo sono soltanto fratelli attraverso la conoscenza ed il successo dei loro lavori. Nessun giuramento li impegna, nessuno statuto li lega tra loro, nessuna regola influenza il loro libero arbitrio, se non la disciplina ermetica liberamente accettata e volontariamente osservata”.
Ed il Kremmerz in “La Porta Ermetica” – “La Scienza dei Magi” – II Vol. – Ed. Mediterranee – p.266 sui Rosacroce così si esprime: “I Rosacroce furono tipi di ermetici cristiani […].Qui riproduco un simbolo, il Caracter Adeptorum che serve da frontespizio ad un libro stampato ad Amsterdam nel 1666 da autore incerto che la sapeva lunga. E’ il simbolo e la chiave del Rosacroce iniziato, vero ed operante. IN CRUCE SUB SPHAERA VENIT SAPIENTIA VERA. […] Il circolo eterno è una rosa. E’ un simbolo, un carattere, null’altro. Ma è la chiave di ciò che facevano i Rosacroce, di ciò che praticavano e del come producevano i miracoli grandi e piccoli de Pharmaco Catolico. Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis. Così sia anche per la scuola integrale”.
Le finalità
Dall’esame delle tre opere Rosacrociane si evidenzia chiaramente la principale finalità, che può essere sintetizzata nei seguenti punti:
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E’ necessario che la Tradizione Unica si incarni periodicamente, assumendo la forma più consona alle esigenze dell’epoca e del luogo, soprattutto tenendo conto del livello evolutivo raggiunto dalla società.
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E’ necessario che il messaggio evolutivo della Tradizione giunga, come germe, alla conoscenza sia dei governanti, sia delle persone sincere e pronte a lavorare su di sé.
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E’ necessario far comprendere all’uomo, che in sé sono racchiuse potenzialità che possono trasformarlo alchemicamente da piombo grezzo a oro.
Questo, in estrema sintesi, il messaggio lanciato dai Rosacroce in quell’epoca di crisi di valori, agli inizi del XVII secolo.
Ma tale messaggio, tale tentativo, non è interessante solo da un punto di vista storico, ma forse è ancora più attuale oggi, in un’epoca di forti cambiamenti e tensioni.
In quest’epoca di crescita, ma anche di deviazione, epoca in cui si vedono prostituite, volgarizzate, derise, fraintese o utilizzate in modo ‘diabolico’ le più alte VERITA’ della SCIENZA DELL’UOMO, Scienza che nell’antichità creò le civiltà e pose le basi per una evoluzione dei gruppi sociali umani; in quest’epoca in cui questa Scienza è stata smembrata e dei suoi pezzi, ormai logorati, sono state fatte trappole per sciocchi; in quest’epoca in cui i giovani ed i meno giovani non trovano più alcuna scala di valori valida per una propria evoluzione; in quest’epoca in cui le Religioni, un tempo detentrici al loro interno della Verità, sono diventate vuoti simulacri di potere profano o pretesti per integralismi assurdi e violenti, forse è necessario rivitalizzare l’alto messaggio dei Rosacroce.
Come scrive Andrè Lebois in “L’Occultisme et l’Amour” – Sodi, 1969: “[Questo movimento] voleva donare all’uomo interiore, il Cristo; all’uomo intellettuale, la Scienza totale; all’uomo sociale, il paradiso in terra”.
E voglio concludere queste Considerazioni, con un pensiero di Cagliostro, tratto da “Memoria per il Conte di Cagliostro, accusato, contro il Procuratore generale” – S.L. – Parigi – 1786 – p.12:
“Come il vento del Sud, come la splendente luce del mezzogiorno che caratterizza la piena conoscenza delle cose e la comunione attiva con Dio, così io vado verso il Nord, verso la nebbia e il freddo, abbandonando ovunque al mio passaggio qualche parte di me stesso, spendendomi, diminuendomi in ogni fermata, ma lasciandovi un po’ di luce, un po’ di calore, fino a quando io non sia infine arrivato e stabilito al termine della mia carriera: allora la rosa fiorirà sulla croce”.
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