Questo scritto proviene dall’archivio della nostra Accademia. Abbiamo chiesto il permesso di pubblicarlo alla figlia dell’estensore, Gioia Pica, che lo ha concesso senza esitazioni. Tutti i Fratelli sopravvissuti ricordano il Fratello Pietro per la sua bontà, la sua mitezza, la sua preparazione e per l’impegno continuo, durato una vita, dedicato allo studio e alla diffusione della dottrina ermetica. Rivolgiamo a Pietro un affettuoso pensiero grati per l’amore che ha saputo e voluto darci.
Nella esposizione delle nozioni, che i vari campi del pensiero umano offrono all’esame e alla meditazione dei ricercatori del Vero, diamo la precedenza – per consentirne il raffronto con altre Dottrine – alla Dottrina Ermetica, secondo le interpretazioni che ne dà un Iniziato di alto rango vissuto agli inizi del presente secolo (questo passo fu scritto intorno al 1970, n.d.r.) e che ha ampiamente attinto alle Fonti esoteriche dell’antico Egitto.
Secondo tale Scuola Ermetica noi non veniamo al mondo come delle tabacchiere nuove, fabbricate di volta in volta per venire riempite del sapere mutevole della scienza che avanza. Il concetto delle anime create una ad una dalla fabbrica centrale della divinità che ne ha la privativa è irrazionale e assurdo. Non varrebbe la pena di essere costruiti, soffiati, torniti per soffrire un numero di anni della nostra esistenza, piena di manchevolezze, per poi finire senza una continuazione in cui si mettano a profitto le esperienze fatte.
Il concetto che l’anima o lo spirito di una persona fuggendo dal corpo, al momento della morte, possa vagare a suo agio, come un essere vivente, con un nuovo corpo diafano, invisibile ai vivi, e poi reincarnarsi è idea dello spiritismo moderno. L’idea antica, quella attribuita a Pitagora – che, entrando in un Tempio, riconobbe le sue armi che, in una vita precedente, aveva portato e poi offerto ex-voto a Minerva – è più sintetica ma non spiega come e per quale via egli si fosse immesso in un corpo nuovo.
Uscire, liberi del peso corporeo, da una carne che non presenta più il tessuto solido di difesa e di recipienza per divenire prima liberi e per poi rituffarsi in un’oscura gestazione – in cui l’essere si avvolge in una nuova veste di materia organica – è una maniera, forse, simbolica per presentare il fenomeno della trasmutazione innanzi all’occhio mentale di tutti i volghi.
E se il passaggio da un corpo all’utero di una madre fosse immediato? E se, invece di un’anima, venisse fuori un seme, un embrione, un elettrone misterioso che compendiasse tutta l’esperienza della vita finita e dovesse, questo germe, per conservare la sua virtù attaccarsi, prima della fecondazione, a una materia viva onde esserne alimentato? E se questo germe avesse la possanza di cadere in uno stato letargico, in un eccezionale e specifico disseccamento da attendere, in una condizione di riposo senza pensieri, che un richiamo o una feconda voce, in un atto copulativo, lo attirasse nella voragine venerea per risvegliarlo e determinarlo al compimento della sua autocreazione in un oscuro antro, senza luce e in un bagno di sangue?
Innanzi tutto, è il germe che subisce passivamente l’influenza di un’accensione, un risveglio, un richiamo alla vita – per uno stato venereo (amore) di due esseri viventi – o è proprio questo embrione che, arrivato a uno stato di maturità, entra in una fermentazione venerea ed è causa di un amore provocato per reincarnarsi?
Per farsi coraggio basterebbe pensare che, quando l’ora della morte è suonata – cioè quando il carbone è finito nella carcassa che è gran parte di noi stessi – il morire è cosa così semplice che tutte le creature della terra lo fanno senza protestare. Muoiono piante, animali; muoiono milioni di persone ogni ora, perché dovremmo aver paura di una cosa che è così facile e che ci annunzia, semplicemente, il compimento di una legge, l’unica legge uguale per tutti?
Non c’è da stupirsi; vi è in noi, imperfetti, un’occulta incosciente premonizione che il pericolo posteriore al sonno della morte è più temibile della gelida e reumatica vecchiaia? E’ la paura di una disintegrazione anche del nucleo che si chiama anima? Non risponde la scienza ufficiale, mal rispondono e disarmonicamente le religioni. Ecco la necessità di un credo spiritista
Secondo l’ermetismo la formazione e lo sviluppo della vita umana è opera graduale delle vite precedenti nel senso che si muore e si rinasce come il chicco di grano non bacato, pronto e sensibile alla rugiada della primavera, che è un bacio d’amore della natura. Invece si muore, e non si rinasce, se l’anima dell’estinto è graveolente come il fango della materia corporea.
La reincarnazione è una legge inesorabile come la morte: nascono milioni di uomini in un’ora, così come muoiono. Le nuvole si disfano; le stelle, che sono nuclei luminosi, riappaiono all’orizzonte.
Le iniziative sacerdotali, in epoche remote, preparavano e plasmavano i nuclei eterei umani; la Scuola Ermetica lo tenta oggi.
Morte e rinascita; disfacimento e reincarnazione: mezzo trasmutatorio l’identica energia specifica, spirituale, che presiede alle combinazioni della chimica dei laboratori, alla formazione dei cristalli, alla caduta del polline dalle antère, alla pretuberante sovranità del caprone in un gregge di pecore, all’amore degli uomini, alle crisi grandiose degli elementi di natura che distruggono e vivificano.
Si vuole conoscere il post mortem senza riflettere se la morte è come quel sonno di chi va a letto, stando, dopo una giornata operosa abbandonandosi al riposo da cui ci si potrebbe non ridestare. E ridestandosi si ha la certezza di aver vissuto una vita cosciente otto ore innanzi; eppure otto ore sono una lacuna nella coscienza di un uomo sveglio. Così della morte. Rinascendo, chi ricorda ciò che ha lasciato (prima di rinascere) interrotto o compiuto? L’oblio delle attività svolte, dalla morte alla rinascita, è identico a quello di chi si ridesta dal sonno fisico. Non è l’oblio nelle otto ore di sonno che farà rinnegare l’attività svolta otto ore innanzi, come non si ricorda niente, da adulto, del periodo in cui si è poppato al turgido seno della mamma, eppure si ammette di aver succhiato da quel seno latte e vitalità.
Un’anima che si disincarna, anche in particolari condizioni di densità eterea, conserva gli elementi sublimati del suo corpo fisico, che lascia, e occultamente le sue particelle subatomiche (elettroni) conservano, tramite il DNA individuale, la memoria latente di tutti gli avvenimenti che si sono svolti sotto l’imperio dei suoi sensi corporei. Se un processo reincarnativo è possibile, la sua reincarnazione è determinata dalla maggiore affinità e simpatia dei caratteri psichici e fisici del genitori putativi che si scelgono o che si è costretti a scegliere. I consanguinei sono, più certamente, i preferiti e, tra i consanguinei, quelli che più psichicamente rassomigliano all’essere che si reincarna.
Nel processo reincarnativo di uno stesso individuo, e degli individui di uno stesso gruppo o famiglia, le forme corporee, la fisionomia, la singolarità dei tratti si riproducono. Il perché va ricercato nell’influenza dello spirito da reincarnarsi, nella struttura di forma (o anima) che è più affine alle attitudini e alla maturità psichica dell’estinto.
Chi ammette le successive reincarnazioni dello spirito umano, in tante esistenze terrene, spiega facilmente gli atteggiamenti umani di odio o di amore come un ricordo organico di vite anteriori.
Nella vita quotidiana, ad esempio, capita di vedere fisicamente per la prima volta una persona i cui occhi o la cui voce risvegliano un grande sentimento di odio o di simpatia. Colui, o colei, non ha detto o fatto alcuna cosa, eppure un intimo senso rivela all’osservatore che colui o colei odia oppure ama, ossia è capace di odiarlo inesorabilmente o di amarlo teneramente mentre mille persone, ogni giorno, lo urtano per la strada, viaggiano con lui nello stesso autobus, soggiornano nello stesso albergo in cui dorme, mangiano alla stessa mensa e nessuno lo tocca o lo guarda tanto come colui o colei che si è visto. E’ un ricordo istintivo di una precedente esistenza?
Il punto nero della credenza nella reincarnazione è nella nessuna memoria che, nella vita presente, la generalità degli uomini conserva di ciò che è stato nella precedente vita. La morale comune risponde: “perché le condizioni indispensabili al ricordo rinnovato non sono adempiute”. Vale a dire che certe condizioni speciali per le quali la memoria dei fatti avvenuti persiste anche nella vita presente non è eterna, anche nella stessa vita.
Chi si occupa di filosofia è invitato a riflettere sulla influenza delle sensazioni fisiche sulla memoria dell’uomo vivo. Si può constatare, nei più semplici fatti, che ogni sensazione fisica cancella le precedenti e che appartiene al solo apparato psichico (sistema cerebrale-animico) il potere di evocarle e ravvivarle nella memoria. I moderni fisiologi materialisti fanno risiedere la memoria nel cervello perché hanno osservato che qualunque disordine organico che tocca i lobi cerebrali produce perdita di memoria fino all’afasia, la quale è la mancanza del ricordo delle parole esprimenti le cose e le idee comuni. Però questo, se è esatto nel materialismo sensista, non è vero secondo la teoria animista e le scienze occulte. La percettibilità materiale dei sensi è interrotta, la manifestazione della memoria nell’atto fisico è cessata ma non la potenzialità e l’attitudine dell’anima nel ritenere le prime impressioni.
Nella vita quotidiana ogni nuova sensazione fisica annulla il ricordo della precedente: nei cibi, negli odori, nei toccamenti, nei suoni, in ognuno dei sensi corporei domina la legge che il più recente fa dimenticare il più antico ricordo sensuale. Però ciò che noi dimentichiamo, in apparenza, il nostro spirito non dimentica. L’immagine, dimenticata apparentemente, vi assale nel momento della vostra evocazione involontaria. Si è ripetutamente osservato che i moribondi hanno istanti di lucidità in cui tutto veggono chiaro. Ciò è perfettamente vero prima di passare il fiume Lete, il corso delle acque nere dell’oblio. Letizia parrebbe provenire da lete, il dimenticare. L’uomo che non dimentica non è mai allegro; guai all’uomo se non avesse la dolcissima facoltà di obliare. Perennemente vedrebbe spiegate innanzi agli occhi tutte le strane e ributtanti immagini delle sue impressioni di ogni genere; supplizio enorme cui non reggerebbe, in paragone, nessuna tortura.
Quella che noi chiamiamo l’indole di un uomo, o di una donna, al suo manifestarsi alla vita presente non sarebbe che il risultato delle tante sensazioni, anteriormente percepite e immaginate, nella nostra psiche.
Viene citato il Lamartine che, senza aver mai visitato la Giudea, vi riconobbe, a uno a uno, tutti i siti più notevoli, senza ingannarsi; Giuliano l’Apostata che ricordava di essere stato Alessandro il Macedone; il Damiani (noto personaggio dell’ottocento) che si vedeva, nelle sue esistenze anteriori, un ufficiale di marina francese e che ricordava di essere stato pugnalato nella caccia agli Ugonotti la notte di San Bartolomeo; un fanciullo di Vera Cruz che distribuiva medicine ricordandosi perfettamente di essere stato medico e tanti altri.
L’Ermetismo ammette nella zona più bassa della corrente astrale universale tutte le anime in via di evoluzione e imperfette in continua attesa di reincarnazione. Tuttavia, per l’espletamento di determinate missioni, si incarnano anche spiriti che sono al di fuori della evoluzione della zona terrestre, che qui vengono per compiere, ignorati o palesi, un particolare compito in pro degli altri e se ne vanno appena completato il mandato loro assegnato dal Supremo Coordinatore Universale. Questi uomini, di ordine superiore, possono avere il ricordo del passato della vita antiuterina? Seriamente il De Saint Germaine ne dava la prova, raccontando avvenimenti di molti secoli innanzi; il Cardano si vantava di saperlo. E non è, poi, da mettersi in dubbio se uomini, che non godono quaggiù la celebrità dei due primi, non sappiano precisamente dove vanno e donde vengono cioè il problema non risolto, che la scienza ufficiale non sa risolvere con le sole tecniche sperimentali. La storia della vita passata è incisa, sillaba a sillaba, nel disco del fonografo umano, dell’uomo vivente. Non è il karma della concezione buddista. E’ la memoria istintiva di tutti i dolori, di tutte le pene, di tutti gli spasimi; memoria che ripudia ogni rifiorire di vecchie litanie di privazioni e di immolazioni dell’essere che aspira alla concezione della vita di uomini associati, dopo che si sono integrati nei loro poteri naturali. I ricorsi storici del Vico vanno spiegati con l’identità storica, occulta e costante degli uomini che fecero la storia anteriore a noi.
I dolori umani e sociali hanno una profonda radice nella coercizione dell’anima storica di ogni individuo. Le manifestazioni incoscienti dei fanciulli sono i caratteri generali della loro vita antica. Il fabbro di tante vite si fa obbedire dal ferro; gente che non ha mai visto il mare si sente nelle vene il diritto di dominare le onde; donne poverissime hanno il senso dell’eleganza più raffinata. E’ impossibile che un mercante, il quale abbia un’anima storica di mercante più o meno levantino, non sia un affarista dedito alla speculazione finanziaria. Come mai la gente non si domanda perché alcuni giovani che hanno, in questa vita, studiato molto poco diventano subito dei giureconsulti, dei medici e degli ingegneri famosi? Quando l’hanno appresa tutta quella roba che spiattellano ai venti?
La rinascita porta in germe la memoria della vita vissuta anteriormente. Come il sole sorge e tramonta, così le piante, gli animali, l’uomo, ogni forma terrestre, perfino i microbi. Se in ogni primavera un albero si riveste di foglie, in ogni rinascita il nucleo più sublimato della materia umana – ossia lo spirito immortale – si riveste di nuova carne, ossia si incarna in una nuova forma comunemente nota col nome di anima.
Integrandosi nei poteri latenti, chi vede in sé, vede nel regno del subconscio denominato, nell’Ermetismo, astrale. Il grano fruttifica e muore, il chicco di grano è l’anima che ritenta la resurrezione e appena la rugiada di un’aurora primaverile bacia la terra in cui è nascosto germoglia.
Tutto ritorna, così ritornano le rose e le viole; ritornano sull’orizzonte gli astri luminosi e scintillanti; ritornano gli uomini che hanno conservato, integra, la propria unità eterea; si disfanno e si disperdono nell’atmosfera i grani guasti, le rose senza polline, le viole divorate dai bachi e dai coleotteri, così come le anime umane meritevoli di castigo o di stagnazione nella corrente delle entità eteree impure o immature.
Esaminiamo, ora, lo stesso argomento della reincarnazione alla luce dei fatti scientifici più recenti della biologia e della parapsicologia, nonché delle nozioni della nuova gnosi degli scienziati americani di Princeton, onde consentire la inconfutabile ricerca dei punti di convergenza della fede con la scienza per il progresso dell’umanità.
Un principio fondamentale della dottrina ermetica rende manifesto che, nel campo occulto della materia, il frutto di ogni creazione è costituito, nella sua essenza, dallo Spirito unico – definito “di base” – comune a tutte le specie viventi (minerale, vegetale, animale e umana) e dallo Spirito specifico – denominato “di forma” – inerente alla manifestazione e alle caratteristiche peculiari della specie. Quindi, nel loro principio assoluto e creativo, il polline delle piante, il seme degli animali, l’energia di coesione delle particelle dei minerali sono identici – nello Spirito di base – mentre differiscono fra loro, materialmente, per la composizione degli elementi della specie – o Spirito di forme – da cui sono prodotti e che, in effetti, si riproducono nel corso delle successive espressioni di vita terrestre.
Da questa concezione tradizionale – la cui fonte risale ai tempi dell’antico Egitto – trae origine la teoria della reincarnazione secondo la quale è lo spirito di forma della specie, ossia l’anima, che si rinnova nel corso dei secoli per le varie strutture viventi assumendo nuovi involucri e arricchendosi di nuove esperienze, mentre lo spirito di base è eterno, immutabile e recipientario di tutte le manifestazioni e di tutte le espressioni cosmiche spirituali.
Peraltro, gli studiosi di dottrine esoteriche possono attingere altri elementi di conoscenza sulla reincarnazione anche dalla dottrina della nuova gnosi religiosa che raggruppa gli scienziati americani di Princeton e Pasadena, le cui teorie sono esposte da Raymond Ruyer nel suo libro La Gnosi di Princeton.
In questo testo si rileva che detti scienziati danno notevole risalto all’aforisma “noi non siamo ancora, mai, morti” rivelandoci che “ognuna delle nostre cellule viventi (elettroni, n.d.r.) non ha mai conosciuto altro che la vita da centinaia di milioni di anni, poiché esse derivano, per divisione o fusione, da altre cellule viventi”.
Da quanto sopra esposto viene confermato il punto di vista dell’Ermetismo – come viene esposto nella dottrina ermetica – se si attribuisce la virtù dell’immortalità delle cellule, di cui argomenta la gnosi, allo spirito di base che, per ammissione concorde degli scienziati moderni, è immortale. Secondo tali scienziati, la funzionalità di questo complesso fisiologico può paragonarsi, figurativamente, a quella di un albero capovolto che affonda le sue radici (metaforicamente) nel cielo, ossia nell’essenza primordiale, e il cui tronco non ha ancora fine. Posta la continuità dello sviluppo di questo fusto – ossia di questi immortali elettroni germinali – ne consegue che ogni pollone in esso innestato prende, da questo tronco, vita e alimento contribuendo alla creazione di nuove forme (rami) alimentate dalla stessa linfa e che, dopo un determinato periodo di tempo, si estinguono staccandosi dal ceppo originario da cui non vengono più nutriti.
Anche la scienza biologica convalida le concezioni esposte dalla sopra citata dottrina Ermetica se si riflette su quanto viene affermato in un testo di biologia nel quale si legge: “La vita ha, forse, utilizzato lo stesso atomo di carbonio per almeno un miliardo di anni. Alcuni dei nostri atomi facevano parte dei primi organismi viventi e, successivamente, chissà, forse di Aristotele o di Cesare”. La stessa biologia porta, ancora, altre argomentazioni alla tesi della reincarnazione con la constatazione biologica famosa: “L’ontogenesi ripete la filogenesi” venendo, così, ad ammettere che i processi di sviluppo, sia embrionali che postembrionali, dell’essere vivente – fino al raggiungimento dello stato adulto – riproducono tutte le trasformazioni subite dagli organismi vegetali e animali attraverso i secoli.
Per concludere, si pone in evidenza che sulla reincarnazione si possono trovare altre e più esauriente nozioni metafisiche esposte dallo scienziato I. E. Charon (creatore della teoria della relatività complessa) nel suo libro Lo spirito, questo sconosciuto.
In questo libro, a pag. 119, si legge: “Quella che noi chiamiamo morte non è la fine della nostra partecipazione alle vicende dell’Universo. L’avventura spirituale della morte prosegue quando gli elettroni del suo corpo – dopo essere rimasti più o meno a lungo in quello stato di profondo sonno al quale abbiamo accennato – rinascono partecipando alla materia di un altro essere organizzato, vivente, nel regno vegetale, animale o in quello dell’Uomo. Si tratta, insomma, di una reincarnazione dell’Io in un nuovo essere”. “Nel corso di queste vite successive non viene dimenticato niente dell’esperienza spirituale precedente.” (vedi le caratteristiche spirituali del DNA di cui è portatore l’elettrone, n.d.r.). “Perché il contenuto informazionale – racchiuso in quel particolare spazio-tempo dell’elettrone, che noi abbiamo chiamato spazio-tempo dello spirito – non può diminuire quantitativamente essendo l’evoluzione dello stato spirituale a entropia decrescente, ossia a neghentropia crescente” (al contrario dello stato della materia, n.d.r.)
Lo stesso Charon, in un altro suo libro Ho vissuto quindici miliardi di anni, spiega la vicenda delle incarnazioni successive come necessaria per l’apprendimento di nuove nozioni evoluzionistiche da parte della psiche, onde proseguire il proprio sviluppo così come l’allievo passa da una scuola di cultura inferiore a una scuola superiore.
Lo stesso autore – prendendo in esame l’attività delle particelle sub-atomiche, che la parapsicologia definisce elettroni o eoni, dopo la morte corporale – considera la possibilità che detti eoni, liberi dai sensi materiali e dai relativi impedimenti, stabiliscano collegamenti (o “interazioni”) con quelli “cosmici” e, quindi, a un livello spirituale superiore a quello praticato in vita, restando in tale situazione fino a raggiungere un grado di maturità che dia il discernimento di scegliere fra una successiva incarnazione – per continuare l’evoluzione o per l’eventuale adempimento di determinate missioni – oppure di permanere nell’ambiente cosmico instauratosi. Di qui trae origine e giustificazione lo scopo della comune vita umana, che è quello di accrescere la propria conoscenza animica aumentando la potenzialità delle rispettive energie psichiche o, come si dice in linguaggio scientifico, la neghentropia degli elettroni corporei, per rendere più accessibile la conquista della vera spiritualità.
Pietro Pica